Simone Stuto, Campestre, grafite su carta Ingres, cm 28,2×21, 2020
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Simone Stuto, Campestre, grafite su carta Ingres, cm 28,2×21, 2020 (con cornice in legno)
Simone Stuto mette al centro delle sue opere la condizione umana e lo scavo psichico. Proietta contenuti interiori che si allontanano da una visione puramente oggettiva. L’artista non rappresenta, ma plasma una realtà altra in un desiderio comunicativo febbrile e pulsante.
Nelle sue opere non c’è narrazione. Mancano la sequenza e la profondità di campo, la prospettiva, la gerarchia e l’ambientazione. La linea del disegno, sempre netta e sincopata, deforma e spezza le figure. Gli occhi sbarrati, le bocche serrate in ghigni spaventosi palesano il tremendo teatro del mondo interiore, una realtà archetipica in cui tutto si contorce e che a fatica viene trattenuta. È il caso, ad esempio, delle due sagome panneggiate (rivisitazioni genialmente consapevoli dei ritratti eyckiani e antonelliani) i cui bottoni sembrano sul procinto di esplodere.
In questa visione onirica tutto è compresente. Le immagini interiori trovano appiglio nel mito e nella reminiscenza di un immaginario collettivo occidentale profondamente identitario (da Bosh a Bacon a Pontormo) ed esasperato in un groviglio segnico.
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